21.6 Nelle mani di Dio
Si stendeva la misera gente sul duro giaciglio, nelle case diventate tuguri.
- Che sarà di noi questa notte? Preghiamo! - Unico conforto era la religione, una fiduciosa rassegnazione in Dio. In tanto sconquasso del mondo, a migliaia gli stanchi e i delusi si ritiravano a far penitenza nelle caverne, lontani dal consorzio umano, o si raccoglievano nei cenobi, nei conventi e nei monasteri, uomini e donne, seguendo l'esempio degli eremiti d'Oriente o secondo le regole di San Basilio, di Sant'Agostino e di San Benedetto.
E fu fortuna, perché così si poterono almeno conservare tanti antichi libri, portati da quei monaci nei loro ritiri.
- Sì, preghiamo! Il buon Dio avrà un giorno pietà di noi. Hai udito che Narsete ha sbaragliato gli Alemanni presso Capua?
- E hai udito che anche i Franchi si son dispersi verso il Garda?
- È stato Iddio che li ha dispersi. Poco prima avevano saccheggiato delle chiese e avevano sacrificato teste di cavallo alle loro divinità, poiché molti non sono ancora neppure cristiani.
Non mai, come in quel tempo, si moltiplicarono i miracoli. Dovunque si vedeva l'intervento divino.
Era stata una pastorella, Santa Genoveffa, a salvare Parigi dagli Unni. Era stato, a suo tempo, il papa San Leone a fermare Attila sulla via di Roma.
- Hai udito, hai udito? L'imperatore Giustiniano è morto. È salito al trono Giustino II, che ha ordinato a Narsete di ritornare a Costantinopoli.
- No, non è stato Giustino. È stata l'imperatrice che ha dato ordine di richiamarlo. Si dice che gli abbia mandato per ingiuria un cestello di lana con un fuso, perché vada a filare nella reggia con le sue ancelle.
- Disgraziata! E Narsete?
- Si dice che abbia risposto: "Filerò una tela, da cui difficilmente si districherà l'Impero". Si dice che per rappresaglia voglia chiamare in Italia i Longobardi.
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