10. Mario e Silla
10.1 Il vaticinio di Scipione Emiliano
Numanzia era caduta. Finalmente, dopo quasi mezzo secolo di lotte contro i popoli iberici, la guerra in Spagna poteva dirsi finita. In quell'ultima città conquistata, i Romani non avevano trovato altro che cadaveri tra fumanti rovine: poiché i difensori, piuttosto che arrendersi, avevano preferito dar fuoco alle case e uccidersi tra di loro.
Ma che cosa importava? E Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine e "secondo Africano", supremo comandante delle vittoriose legioni, volle festeggiare ugualmente il faustissimo avvenimento con un banchetto.
Si dice che, mentre egli con i suoi ufficiali e con i più valorosi soldati dell'esercito sedeva a mensa, essendo ormai vecchio e dovendo fra poco lasciare il comando, qualcuno gli domandasse:
- E chi, ormai, dopo di te, sarà più degno di comandare alle legioni romane?
Il gran Capitano si volse e, ponendo una mano sulla spalla d'un rozzo soldato che gli sedeva accanto:
- Forse questi - rispose. - Caio Mario.
E fu profeta.
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