7.13 "Finis Carthaginis!"
- Finis Carthaginis, - mormorò tristemente il Cartaginese; e si ritirò fra i monti della Calabria.
Erano undici anni ch'egli correva le nostre contrade, aveva rovinato quattrocento città e ucciso un milione di persone. Si mantenne laggiù altri quattro anni, finché i suoi lo richiamarono in patria.
Cartagine era veramente alla fine.
Era tornato Scipione dalla Spagna, carico di trionfi e di glorie, con la sua idea incrollabile di portar la guerra in territorio nemico. Lo stesso Quinto Fabio Massimo gli era contrario; ma egli ottenne che gli dessero facoltà di arruolar solo volontari e di poter armare una flotta.
E volontari accorsero da ogni parte d'Italia, primissimi quelli ch'erano scampati a Canne e che anelavano di vendicarsi di quella sconfitta. Fu una nobile gara tra le popolazioni italiche. Populonia offrì il ferro, Volterra il bitume, Tarquinia vele e corde, Cere vettovaglie e grano, Arezzo, da sola, fornì 30.000 armature con spade, scudi, elmi, giavellotti e corazze... In 40 giorni, 40 navi da guerra e 300 da carico eran pronte.
Si salpò a vele gonfie.
Approdato in Africa, Scipione sorprende e incendia il campo cartaginese; insegue e incalza Siface, re dei Numidi, alleato di Cartagine, e con la moglie Sofonisba lo cattura. Poi s'accosta a Cartagine stessa: e fu allora, finalmente, che Annibale si decise a lasciar l'Italia. Il Cartaginese fece freddamente scannare uomini e cavalli italiani ch'erano ancora presso di lui, e partì.
Torna all'indice