9.3 Tiberio e la legge agraria
Tiberio, il maggiore, è il primo a vedere nel malcontento del popolo un segno di disgregamento della compattezza di Roma. Gli stanno particolarmente a cuore gli agricoltori, che fino a quel tempo avevano avuto tanta parte nella vita della città col loro modesto assiduo lavoro; gli stanno a cuore i campi e l'arte dell'agricoltura.
Ma i contadini non lavorano, e i campi sono abbandonati. Infatti, i molti prodotti agricoli che vengono dalle nuove province rendono difficile ai contadini romani la vendita di loro prodotti: il ricavo che ne fanno è così scarso, che, a poco a poco, sono obbligati a vendere i loro campi. I ricchi li acquistano, ma non vi dedicano cure amorose: li abbandonano agli schiavi, e il terreno non produce più. Nasce in questo modo quella grande piaga delle nazioni che si chiama latifondo, vasta proprietà di uno solo, coltivata sommariamente.
Bisognava opporsi a questo pericolo con leggi che rendessero possibile ai contadini il ritorno ai loro campi. Tiberio aveva sufficiente autorità per farsi ascoltare, poiché si era segnalato notevolmente nelle guerre per la conquista della Spagna ed era stato eletto tribuno, cioè rappresentante della plebe. Egli propose allora una legge che impedisse ai ricchi di occupare più di 500 iugeri di agro pubblico (l'iugero era una misura che indicava la superficie che un bue poteva arare in un giorno, circa 2500 metri quadrati); i ricchi che risultassero possessori di più vaste aree coltivabili, dovevano rinunciare a una parte in favore di poveri, i quali potevano cosi riprendere la loro tradizionale e dignitosa fatica di agricoltori.
La legge, detta agraria, fu approvata; e Tiberio già si preparava a lottare per una seconda proposta presentata al Senato: quella di dividere tra il popolo una ingente eredità lasciata a Roma da Attalo III, re della potente città asiatica di Pergamo. Ma l'audacia delle proposte di Tiberio creò grande agitazione tra i nobili, che si vedevano colpiti nei loro interessi; e il loro rancore divenne tale, da indurli a sollevare contro il tribuno un tumulto feroce. Tiberio affrontò l'ira dei nemici, ma cadde ucciso; e l'odio di parte giunse a impedire che le sue spoglie fossero raccolte e onorate: il suo misero corpo venne gettato nel Tevere (133 a. C.).
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