1. Dal solco quadrato
1.1 Le leggende
Chi fondò Roma? Quando e come sorse la grande città?
Fiorirono le leggende, né tante mai se ne contarono, come su quella che doveva divenire la dominatrice dei popoli, la Città Eterna.
"Intorno al gran nome di Roma - scrisse un antico storico greco - la cui gloria è distesa sopra tutte le genti, non s'accordano gli scrittori in asserire chi lo abbia dato a quella città.
Alcuni dicono che i Pelasgi, dopo essere andati vagando per la maggior parte del mondo e aver soggiogata la maggior parte degli uomini, si misero poi ad abitare ivi, e che dal loro valore nelle armi diedero il nome alla città.
Altri vogliono che, essendo presa Troia, alcuni guerrieri, trovate a caso delle navi, fossero spinti dai venti in Etruria e approdassero alle foci del Tevere, dove, essendo le loro donne già stanche e depresse, e non potendo più tollerare il mare, una di esse, che chiamavasi Roma e che per nobiltà e prudenza sembrava superare di gran lunga tutte le altre, abbia suggerito alle sue compagne di bruciar le navi. Ciò fatto, dicono che gli uomini dapprima se ne crucciassero; ma poi, essendosi per necessità collocati intorno al Palatino, e riuscendo loro in breve tempo la cosa meglio assai che non avessero sperato, avendo sperimentata la fertilità del luogo, edificarono la città, dandole il nome dell'animosa donna ch'era stata la causa di tanto fatto.
Altri affermano che abbia dato il nome alla città un'altra donna, pure chiamata Roma, figlia del re Italo e di Leucaria; oppure un'altra, nipote di Ercole e moglie di Enea.
Altri ancora dicono che fondatore sia stato Romano, figlio di Ulisse e della maga Circe; o un Romo di Ematione, da Diomede là mandato da Troia; o Romo, signore dei Latini.
Altri pretendono che Romolo fosse figlio di una Troiana sposatasi al re Latino. Altri narrano che la madre di Romolo fosse Emilia, figliuola di Enea e di Lavinia, sposata al dio Marte.
Certuni, infine, raccontano un evento portentoso: che cioè nel focolare di Tarchezio, re degli Albani, apparisse un fantasma per molti giorni. Interrogati gli auguri d'Etruria, costoro risposero che, se una vergine figlia del re si fosse sposata al fantasma, sarebbe nato un eroe formidabile per virtù, per forza e per fortuna.
Una vergine figlia del re, adunque, fu scelta per il sacrificio; ma ella invece di sottoporvisi, mandò una schiava. Conosciuto l'inganno, il re condannò tutte e due a morte; di poi, avuto un sogno della dea Vesta, le chiuse in carcere, ordinando di non liberarle finché non avessero tessuto una lunga tela. Ma più esse di giorno tessevano, e più di notte il re sfaceva la loro tela. La schiava ebbe tuttavia due gemelli, che il re consegnò ad un certo Teramo perché li uccidesse.
E qui la leggenda si riallaccia a quella che comunemente corre sulla bocca di tutti, e che è la seguente:
Dai re che nacquero in Alba, discendenti da Enea, il regno pervenne a due fratelli: Numitore e Amulio. Amulio scelse le ricchezze e l'oro degli avi; Numitore preferì la corona e lo scettro. Amulio, allora, profittando dei maggiori mezzi che aveva, spodestò il fratello e costrinse la sua figliuola a farsi sacerdotessa della dea Vesta.
Da lei, che si chiamava Ilia o Rea o Silvia, il dio Marte ebbe due gemelli grandi e belli oltre ogni misura; ragione per cui Amulio comandò che fossero gettati nel Tevere.
Il servo incaricato di questa bisogna si chiamava Faustolo. Altri invece asseriscono che Faustolo fu colui che li trovò. Il fatto è che i due bambini furono abbandonati in un luogo, che ora chiamasi il Germalo, presso a un fico selvatico, detto il Ruminale. Una lupa li allattava, e insieme con un picchio li custodiva. Narrasi poi che un guardiano di porci li trovò e li portò a sua moglie Acca Larenzia, in onore della quale ancor oggi i Romani celebrano la cosiddetta Festa Larenziale. Essi erano Romolo e Remo".
Così l'antico storico greco Dionigi d'Alicarnasso, che visse in Roma ai tempi dell'Impero.
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