20. Grandezza e decadenza di Roma
20.1 Gli scavi di Ercolano e di Pompei
Eran le prime ore del pomeriggio, in un'afosa giornata di agosto. Gli abitanti avevano appena finito di mangiare. A un tratto, s'udì un gran boato.
Tutti, uomini e donne, si riversarono fuori dalle case, e rimasero terrorizzati. La vetta del Vesuvio s'era spaccata, e dall'enorme cratere erompevano fuoco e fiamme, fango, lave e lapilli, e una densa polvere che, in breve, oscurò il cielo e cominciò a coprire tutte le cose.
Pareva notte.
E via, uomini e donne, vecchi e bambini, via tutti in tumulto e in fuga giù verso le spiagge di Pozzuoli, di Baia, di Miseno, coprendosi alla meglio il capo con cuscini, con lenzuoli, con panni, portando quel poco di prezioso che, nella confusione e nello spavento, si era potuto racimolare, e lasciando tutto il resto abbandonato nelle case, nelle botteghe, nelle stanze e negli armadi, nei magazzini e nei templi, nelle cucine, nei forni e sui fornelli, e fin sulle tavole non ancora sparecchiate.
Molto di questo si ritrova oggi a Ercolano e a Pompei: arredi, masserizie, utensili, insieme a statue, a bronzi, a mosaici, a pitture: una testimonianza di vita gaia, florida, attiva; uno spettacolo di prosperità, di ricchezza e di bellezza, che può darci un'idea della vita romana di duemila anni fa.
Le due città sorelle e, con esse Stabia, furono sepolte dal Vesuvio nel 79 d. C., durante il regno di Tito, "amore e delizia del genere umano": vale a dire, appena 11 anni dopo la morte di Nerone e a 65 anni da quella di Augusto. Che sarà stato poi, nel tempo che trascorse da Tito a Commodo, in cento anni di pace interna e di ottimo governo sotto Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio?
Fu detta, quella, "la nuova età dell'oro del genere umano".
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