3. I leggendari eroi di Roma
3.1 Solo sul ponte
Era inevitabile che Tarquinio il Superbo, l'ultimo dei sette re di Roma, sbalzato dal trono ed espulso dalla città, tentasse in tutti i modi di ritornarvi.
I Romani, intanto, avevano instaurato un governo repubblicano, il cui supremo potere civile e militare era affidato a due Consoli da eleggersi ogni anno. Annua doveva pure essere qualunque magistratura; solo le cariche sacerdotali non erano annue, e solo i Pontefici duravano a vita.
E i consoli non avevano scettro, non manto di porpora come gli antichi re, né corona. Unica distinzione, una lista di porpora in fondo alla toga e dodici littori per ciascun console; i quali littori però, finché i consoli erano in Roma, dovevan portare i fasci con le sole verghe senza la scure.
Primi due consoli furono Giunio Bruto e Tarquinio Collatino.
Tarquinio il Superbo, dunque, cominciò con l'inviare ambasciatori a Roma: ma più per tramare con quelli che fossero malcontenti del nuovo governo, che per trattare col Senato.
Difatti, ecco che si scopre una congiura.
Tra i congiurati erano i figli stessi di Giunio Bruto; ma il console ordinò anche per loro la morte. Allora Tarquinio il Superbo ricorse per aiuto agli Etruschi di Tarquinia e di Veio. Si venne a battaglia presso la selva dell'Arsia.
Giunio Bruto, che comandava la cavalleria romana, si scontrò con Arunte, figlio del Superbo, e lo uccise; ma fu ferito anch'egli gravemente, e morì. Si combatté tutto il giorno. Nella notte, gli Etruschi si ritirarono.
Ma eccoli poi nuovamente, con Porsenna, lucumone di Chiusi; e questa volta con tanto impeto e con tanta fortuna, che, in breve, sbaragliati i Romani, furono alle sponde del Tevere, alle porte della città. E sicuramente sarebbero entrati in Roma, se il valorosissimo Orazio Coclite non si fosse fermato in mezzo all'unico ponte di legno sul fiume.
Un buono scudo, un forte braccio e una spada o una lancia ben temprate, unitamente a un saldo cuore, valevano allora quel che oggi vale una mitragliatrice in uno stretto passaggio obbligato.
Orazio Coclite aspetta i nemici: ne uccide uno, ne ferisce un altro, ne strabalza un terzo nel fiume. Frattanto, i suoi compagni a colpi d'accetta tagliano dietro a lui assi, travi e tavole. Il ponte crolla; Orazio Coclite si getta a nuoto; i nemici annegano o restano sull'altra riva impotenti a guardare.
Roma è salva!
Narra la leggenda che al prode Orazio, tornato sano e salvo trionfalmente in città, il Senato decretò una statua nel Foro, e tanto terreno in dono quant'egli potesse arare in una giornata.
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