18.3 La trireme romana
Ma qui intuisco che voi, miei piccoli amici, siete desiderosi di sapere come fosse formata una antica trireme romana, e io vi accontento subito.
Immaginate dunque, per qualche istante, di trovarvi nell'epoca luminosa e splendida della Roma imperiale. Una trireme ci aspetta nella ben riparata baia di Miseno, una delle più importanti stazioni navali volute dal genio di Augusto, in fondo al golfo di Napoli. Questa stazione della flotta romana, con quella di Ravenna (Porto di Classe) e di Forum Julii, sulla Costa Azzurra (Fréjus), serviva a controllare militarmente il Mediterraneo, già divenuto un immenso lago di Roma.
Ecco la bella nave ormeggiata presso una banchina. È lunga circa quaranta metri, cioè quasi quanto un battello a vapore dei nostri laghi, ed è munita di due alberi semplicissimi che sostengono due grandi vele rettangolari. Queste vele sono di ottimo lino. È già passato il tempo in cui esse erano di lana o di canapa. Sulle due vele sono ricamate, in oro, le cifre della nave e le insegne del comando. Se, tuttavia, questa trireme fosse destinata a trasportare un supremo capitano, le sue vele sarebbero di color porpora o vermiglio. Le loro ralinghe, cioè i loro orli, sono di pelle, e, per un'antichissima superstizione, questa pelle è di iena o di foca: animali che si ritiene abbiano il potere di preservare dai fulmini.
Esaminiamo ora lo scafo di questa bella nave da guerra. Esso è di ottimo legno di cedro, mentre l'interno è di abete. Una nave mercantile sarebbe stata invece costruita in pino, legname meno pregiato. I corti e massicci alberi sono anch'essi di abete. Sott'acqua, la falsa chiglia della trireme è invece di quercia. Un bel colore azzurro ricopre le murate. Si tratta di una tinta fusa con la cera: l'encausto. Altre navi vicine sono dipinte in vermiglio, in porporino, in giallo, in verde, in bianco e in violetto. Una slanciata liburna da esplorazione, all'ancora poco lontano, ha lo scafo, nonché le vele, dipinte in "color veneto": un verde azzurro che si confonde con quello delle onde, colore mimetico di guerra, che corrisponde a quello delle nostre moderne corazzate.
Osserviamo ora la prora. Oh, il bel rostro di bronzo a forma di punta di lancia, che si protende quasi sott'acqua e che è destinato a colpire l'opera viva della nave avversaria, cioè le parti immerse della carena! Sopra questo, ecco un altro rostro a forma di testa di cinghiale, pure di bronzo, il che evita la corrosione della ruggine. Alto, sopra il secondo rostro, sporge sul mare il castello di prora, col relativo corvo pronto per l'abbordaggio.
La poppa, elevata e maestosa, è bellissima. Alla sua estremità, il chenisco raffigura una lunga coda di uccello acquatico, che si apre verticalmente a ventaglio, simbolo del perpetuo galleggiamento della nave. Sull'estrema poppa sorge una statuetta, dipinta a vivaci colori, rappresentante un nume tutelare della nave; mentre le insegne romane, dorate, ornano pure lateralmente il lungo cassero poppiero, sotto il quale si aprono gli alloggi degli ufficiali.
Ma che cosa sono questi improvvisi barbagli a prora? Uno schiavo, agli ordini del nocchiero, fa rifrangere la luce solare sopra un lucido scudo, e così trasmette ordini alle altre navi alla fonda. La telegrafia eliografica, in uso nelle Marine moderne, ha avuto i suoi geniali precursori negli antichi Romani!
Torna all'indice