8.9 "Delenda Carthago"
E da allora, c'entrasse o non c'entrasse, terminava i suoi discorsi in Senato o davanti al popolo con le celebri parole: "Delenda Carthago!" (Si distrugga Cartagine).
Ed ecco che i Cartaginesi, non potendo più sopportare soprusi e ingiurie da Massinissa, cominciano ad armarsi. Era l'anno 149 a. C. Intervengono i Romani, e intimano la consegna di 300 ostaggi. E poi? Viveri per le legioni già sbarcate in Africa. E poi? Consegna di tutte le macchine da guerra, del materiale di marina, delle armi degli arsenali e dei privati. I Cartaginesi, nell'impossibilità di resistere, obbediscono. E poi?
- Adesso - rispose il console Lucio Marco Censorino, alzandosi minacciosamente in piedi - cercatevi un altro posto, però a non meno di dieci miglia dal mare, che Cartagine deve essere distrutta.
Allora, benché disarmati, i Cartaginesi si ribellano. E resistono per tre anni. Si chiusero le porte delle mura e si barrarono. Si abbatterono tetti per far legname, muri per aver pietre, si fusero utensili per nuove armi; le donne dettero perfino i capelli per intrecciar cordami; si combatté disperatamente tre anni, via per via, di casa in casa, traforando muri e gettando passerelle sui tetti... Nulla giovò. Scipione Emiliano, figlio di Emilio Paolo vincitore di Perseo e adottato dalla famiglia degli Scipioni, rase tutto al suolo.
Gli ultimi Cartaginesi si ritirarono nella rocca di Birsa, comandati da un loro generale, Asdrubale, e vi si difesero ancora accanitamente. Poi Asdrubale capitolò.
- Vile! - gli ruggì contro la moglie. E si gettò coi figli e con un pugno di superstiti tra le fiamme del tempio d'Esculapio.
Cartagine era finita per sempre: anno 146 a. C.
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