18.4 A bordo della trireme
Ed eccoci a bordo. Ah, che bel ponte di coperta ampio e spazioso! Tutto vi è tenuto in ordine, tutto vi è nuovo, lustro e pulito. Ora i marinai "mollano" gli ormeggi, costituiti da grossi cavi di canapa, e ricuperano l'ancora. Toh, l'ancora è una vera ancora di ferro, non un semplice sasso come usavano i Greci; e la gomena per trattenerla, non più di lino o di canapa, è sostituita con una vera catena a maglie di ferro! Un nocchiero vi dirà che la nave è denominata "Nilo". Ecco perché a prora, sopra un secondo rostro, v'è un fregio scolpito con due simbolici coccodrilli. Una bireme vicina, che si chiama "Ida", ha per fregio prodiero il simbolico monte.
Scendiamo sotto il ponte. Ecco i remi. Sono enormi e disposti in tre ordini, ritirati nei relativi "scalmi". Ma come è possibile che un uomo, due, o anche tre riescano a muovere remi così grossi?
È semplicissimo. Alle loro estremità hanno un grosso peso di piombo, che controbilancia la resistenza delle pale nell'acqua.
L'equipaggio completo della trireme consta di duecentocinquanta uomini, divisi in tre gruppi: schiavi rematori, marinai e soldati. Un capo militare comanda a questi ultimi, quasi tutti opliti, destinati in guerra ad andare all'abbordaggio. V'è poi un capo nautico o pilota, dalla cui perizia dipende la felice e sicura navigazione, nonché il buon esito delle manovre ordinate dal comandante militare. Né manca il nostromo, che ha conservato il nome greco di proratis, dal quale dipendono particolarmente i diopi, incaricati degli scandagli e di vigilare sulla rotta. Il remeggio è diretto da un capo ciurma, che ha numerosi aiutanti, né manca il commissario o contabile, che ha pure conservato il nome ellenico di logis.
Salpata l'ancora, si parte. Il vento è debole, e le due vele, pel momento, non vengono neppure spiegate. Se mai, rinforzando la brezza, fuori del promontorio di Miseno, esse verranno bordate.
Il motore della trireme è... umano. Esso è infatti rappresentato da centocinquanta schiavi seduti sui banchi di voga, incatenati alla murata per un piede. Si tratta di schiavi Numidi, dalle membra color d'ebano, lucide e muscolose; di Traci, che sembrano statue di bronzo; di Galli, dalla carnagione molto chiara e dai capelli biondi o rossi. Il lungo esercizio li ha resi straordinariamente robusti, vere macchine di carne, atti ormai, come ben pochi, a uno sforzo prolungato e metodico.
Dura e primitiva è la loro esistenza. A bordo, essi la trascorrono quasi unicamente sul banco di voga, sul quale pure si riposano, mangiano e dormono. È la dura legge di quell'epoca per coloro i quali osarono levarsi in armi contro Roma e furono poi fatti prigionieri.
I banchi di voga sono disposti a differente altezza, allo scopo di guadagnare spazio. I rematori seduti più in alto sono collocati dietro ai vogatori, che si trovano più in basso, allo scopo di non ostacolare i loro movimenti. Ripari di cuoio chiudono i fori di murata da cui passano i remi, in modo che, eventualmente, le onde non entrino nello scafo.
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