10.9 La fine di Mitridate
Direttosi quindi contro Mitridate il Grande, già battuto da Lucullo, lo cacciò dal Ponto e lo confinò in Crimea, dove, assalito dal suo stesso figlio Farnace, il re finì per avvelenarsi.
Si narra che, essendosi egli abituato fin da giovane a sorbire piccole quantità di veleno per non cadere vittima di qualche attentato, non risentisse soverchio danno da quello che trangugiò in ultimo per sottrarsi alle mani degli avversari. Trovato boccheggiante e curato, si fece tagliar la gola da uno schiavo Gallo.
Pompeo ricevé anche in soggezione Tigrane il Grande, il "re dei re" della Grande Armenia, il quale dominava dai suoi altipiani fino alla Mesopotamia, all'Arabia e alla Siria. Sconfitto già da Lucullo, Tigrane il Grande perdette tutte le terre possedute in Asia Minore. La Siria, la Fenicia, la Cilicia, la Paflagonia e il Ponto vennero annessi a Roma; vassalli di Roma diventarono i regni della Cappadocia, della Galazia e della Giudea; tutti i popoli fino al Mar Nero e al Mar Caspio riconobbero il dominio romano.
Ricco di gloria e di bottino, accolto in Italia con spettacolosi trionfi, stimato e ammirato come il più grande uomo vivente, nell'autunno del 62 a. C. Pompeo Magno ritornò in patria, per godersi in pace i frutti della sua smisurata potenza.
Soltanto due uomini potevano presumere di stargli a paro: Crasso per le sue favolose ricchezze, e un giovane che esercitava già sul popolo un fascino immenso per le sue prodigalità, per le sue audacie e per il suo genio: Caio Giulio Cesare.
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