7.7 La disfatta di Canne
Ciò non piacque ai più turbolenti demagoghi romani, e Quinto Fabio Massimo fu richiamato. Si elessero due consoli: l'impaziente Terenzio Varrone e il prudentissimo Emilio Paolo.
E Terenzio Varrone, la mattina del 2 ottobre 216 a. C., si lasciò attrarre da Annibale, nella pianura di Canne, in posizione sfavorevole, col sole, col vento e con la polvere in faccia, a un grande combattimento. Emilio Paolo morì, ottanta senatori caddero, 20-25.000 soldati perirono, 10.000 furon fatti prigionieri. Soltanto 6.000 scamparono, e la tradizione vuole che il loro sgomento fosse tale che essi volevano abbandonare l'Italia, visto che ormai neppur Roma avrebbe potuto resistere.
Quand'ecco, un giovane loro compagno sguaina la spada e minaccia di ucciderli se insistono nell'insano proposito; li riordina, li rinfranca, li conduce in salvo a Canosa. Egli era il giovinetto che già aveva salvato sul Ticino la vita a suo padre: Publio Scipione.
Con la disfatta di Canne, anche l'Italia meridionale fu perduta per i Romani. Capua si diede ad Annibale, a lui si diedero i Bruzi e gran parte dei Campani, dei Sanniti e degli Apuli. Siracusa e quasi tutta la Sicilia gli si alleò; si allearono pure i Macedoni di là dall'Adriatico; fu presa Taranto. Roma, come pochi decenni dopo la distruzione della città da parte dei Galli, era ridotta appena all'Italia centrale. E il nemico era alle porte.
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