8. I giganti abbattuti da Roma
8.1 Le falangi sgretolate
L'aveva giurato giovinetto sugli altari di Cartagine, alla presenza di suo padre: "Odio eterno contro Roma". Vinto da Publio Scipione nel 202 sui campi di Zama, prostrata la sua patria, Annibale non si piegò.
Aveva egli forse in un primo tempo sperato in Filippo V di Macedonia, suo alleato nella seconda guerra punica. Ma Filippo, già battuto prima di Zama, dovette poi fare i conti con Roma. Egli era un potentissimo re: dominava, oltre che sulla Macedonia, anche sulla Tessaglia e sull'Eubea, su parte della Focide e su altri vasti paesi della Grecia e dell'Asia Minore. Chiusa la partita con Cartagine, i Romani, prendendo occasione che Filippo V minacciava Rodi e Pergamo loro alleate, gli dichiararono guerra.
Sbarcò Tito Quinzio Flaminino in Epiro, e respinse i Macedoni nell'interno della Tessaglia; qui, in una regione collinosa, detta Cinocefale o "Testa di cane", attaccò Filippo e lo mise in rotta: le famose falangi, che con Alessandro Magno avevan corso trionfalmente mezzo mondo fino all'India, spazzando tutto sul loro cammino, furono polverizzate dalle legioni.
Anno 197 a. C.
S'impose a Filippo V di rinunziare a tutti i suoi possessi fuori della Macedonia, di non far guerre e alleanze senza il consenso di Roma, di pagare una forte indennità, di dar suo figlio Demetrio in ostaggio. Tutta la Grecia cadeva sotto l'influenza romana.
Torna all'indice