13.2 Tiberio
Era stato un valentissimo generale; aveva sottomesso Reti e Vindelici; aveva combattuto vittoriosamente in Dalmazia, in Pannonia e in Germania: ma vedendosi trascurato e sapendosi non ben accetto all'Imperatore suo patrigno, alla Corte e a Roma, era cresciuto solitario, triste e cupo. Assunto al trono assai maturo negli anni, di già varcata la cinquantina, resse energicamente le redini dello Stato, saviamente amministrò le finanze, consolidò i confini, aggiunse all'Impero la Cappadocia, ristabilì il protettorato sull'Armenia e tenne in rispetto i Parti. Ma nel 27 abbandonò Roma per ritirarsi a Capri, lasciando il suo tristo ministro e consigliere Seiano arbitro delle sorti della Capitale e del mondo. Allora le persecuzioni contro i cittadini più degni infierirono; si moltiplicarono le sentenze di morte.
Ambiziosissimo e privo di scrupoli, Seiano mirava a spianarsi con ogni mezzo la via verso il trono. Lo accusarono perfino d'aver fatto avvelenare l'unico figlio di Tiberio e di attentare alla vita stessa dell'Imperatore. Questi, scossosi alfine dalla sua torpida e colpevole accidia, ordinò che fosse arrestato. Condannato a morte, il suo cadavere fu fatto a brani dal popolo.
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