12.6 Imperator
Frattanto, anche Sesto Pompeo era stato battuto da Marco Agrippa, e anche Lepido, sospettato di segrete intese coi pompeiani, era stato eliminato. Giunto a Roma, e solo padrone ormai dell'Urbe e dell'orbe, della città e del mondo, Ottaviano, nel 29 a. C., in età cioè di trentaquattro anni, fu acclamato dai Romani "imperator" col diritto di portare questo titolo per tutta la vita. Prima di lui, era acclamato imperator solo il supremo comandante dell'esercito, dopo qualche strepitosa vittoria, dai soldati sul campo. Ebbe il proconsolato per le Gallie, per la Spagna e per la Siria, e la sovrintendenza alle coste di tutto l'Impero; poi, il tribunato del popolo a vita.
Nel 27 fu proclamato Augusto, cioè quasi sacro. Il mese della sua nascita e del suo ritorno a Roma fu pure detto Augusto: Agosto.
Nel 12 a. C., fu eletto Pontefice Massimo. Era già Principe del Senato, fu anche Princeps Civitatis, il primo dei cittadini.
Riorganizzò lo Stato con la riforma del Senato e delle magistrature; riordinò l'amministrazione delle province; istituì il Fisco, cassa dell'imperatore, con una gerarchia di funzionari per la sua amministrazione; diede un nuovo ordinamento all'esercito e istituì in Roma il corpo dei Pretoriani; promulgò apposite leggi per la religione e per la famiglia; chiamò intorno a sé artisti e letterati, fra cui Virgilio, Orazio, Tibullo, Catullo, Ovidio e Tito Livio. Eresse monumenti, e dovunque se ne eressero in tutto l'Impero in suo onore: statue, are e templi, con sacerdoti e culto per lui come a un dio.
In Roma il suo amico Mecenate, seguendone l'esempio, accoglieva e aiutava ogni sorta d'ingegni; l'altro suo amico e ministro, Agrippa, costruiva a proprie spese fontane, terme, acquedotti e il Pantheon; lo stesso Augusto, tra l'altre insigni opere, vi apriva un nuovo Foro, col tempio di Marte Vendicatore, per ricordare lo sterminio degli uccisori di Cesare. Morendo dopo quarantaquattr'anni di regno, nel 14 dopo Cristo, Augusto poteva dire:
- Ho trovato una Roma di mattoni, la lascio di marmo.
Aveva vissuto sempre semplice e modesto. Non aveva mai chiesto il titolo di re; non volle esser chiamato dominus, signore, se non dai suoi schiavi; aveva solo accettato il titolo d'imperator, che si attribuiva ai vincitori degni del trionfo. Ogni volta che lo si era pregato di assumere i supremi poteri, aveva supplicato che lo dispensassero.
Sdegnava insomma le apparenze, e badava alla realtà. Avendogli, un giorno, il suo figliastro Tiberio riferito che certa gente in Roma sparlava di lui:
- Lasciamoli dire - alzò le spalle Augusto - purché ci lascino fare.
Nelle città entrava in incognito o di notte, per evitare le rumorose accoglienze. In Roma abitava una piccola casa sul Palatino, di schietta e sobria eleganza, senza ornamenti pomposi e senza sfoggio di ori e di gemme. Amava farsi invitare da amici e da cittadini privati, anche in provincia. Una volta, un Milanese gl'imbandì una mensa molto alla buona.
- Non sapevo - sorrise apertamente Augusto - che fossimo così amici tra noi.
Un'altra volta, un legionario lo richiese del suo patrocinio in una causa.
- Non ho tempo - rispose l'imperator. - Ti manderò un mio avvocato.
- Ti ho mandato forse un mio sostituto, io, quando hai avuto bisogno di me nelle guerre?
E Augusto si recò al tribunale per difenderlo. Né ciò fece una volta sola, ma spesso, per amici e per clienti, subendo gli interrogatori e sopportando la foga impetuosa degli avversari.
Vestiva semplice e modesto, con abiti che faceva confezionare in casa. Unico suo segno di distinzione era la guardia pretoriana; senonché, memore della morte di Cesare, alle sedute del Senato interveniva con spada e corazza. Furono ordite anche contro di lui delle congiure, la più pericolosa delle quali fu quella capitanata da Cornelio Cinna, nipote di Pompeo. Avvertito in tempo, Augusto lo mandò a chiamare; si mostrò informato di tutto; gli rinfacciò i benefici concessigli; lo rimproverò e gli perdonò; infine gli mise in mano un biglietto: era una nomina al consolato.
Altre volte sfuggì agli attentati per vero miracolo. Un Gallo, si racconta, gli si avvicinò a un passaggio difficilissimo delle Alpi, con l'intenzione di spingerlo nel precipizio.
- Che vuoi tu? - lo fulminò d'uno sguardo Augusto. L'altro non fu più capace di muoversi.
Prima della battaglia di Azio, scrive Plutarco, Augusto incontrò un asinaio.
- Come ti chiami? - gli chiese.
- Bonaventura.
- Bene! E il tuo somaro?
- Si chiama Vincitore.
- Meglio ancora!
E andò con più animo alla famosa battaglia.
Augusto avrebbe potuto anche vantarsi: - Trovai un mondo in subbuglio, e lo lascio in pace.
Sconfitti dai suoi generali i Parti in Oriente, e in Occidente i Reti, i Vindelici, i Pannoni e i Germani; fissati e assicurati i confini al Reno, al Danubio, al Mar Nero, all'Eufrate e al Mar Rosso, nei deserti d'Arabia, d'Etiopia e di Libia fino all'Atlantico, Augusto, dopo 205 anni da che non era stato più chiuso, poté finalmente serrare le porte del tempio di Giano.
Tutto il mondo era in pace. Erano pur dunque maturi i tempi, preconizzati dai Profeti, in cui il Cristo sarebbe nato. E fu sotto il regno del "buon Augusto", durante il censimento da lui ordinato per calcolare la popolazione del vasto Impero, che Maria e Giuseppe di Nazareth dovettero muoversi per andare a iscriversi a Betlemme.
Tutti gli alberghi erano pieni; Maria e Giuseppe si ricoverarono in una stalla. In quella stalla nacque Gesù.
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