20.4 La civiltà dov'è ancora la barbarie
Quale miracolo! Immaginate che tutte le cittadine che attraversiamo siano più o meno come Ercolano e Pompei; la stessa vivacità, lo stesso aspetto di floridezza, di gaiezza e bellezza, anche là dove, come in tante regioni della Balcania, caduta Roma, la civiltà disparve; anche là dove, come in tante parti dell'Asia Minore, la civiltà non è ancora ritornata; anche là dove, come in Libia, si stende ora il deserto.
Dovunque, in tutto il mondo dove dominò Roma, si rinvengono, negli scavi, marmi, colonne, ornamenti, mosaici, rovine di edifici imponenti: erano ville, fori, terme, templi, teatri e anfiteatri, acquedotti, ponti, cisterne: in Inghilterra come in Ungheria, in Italia come nel Marocco.
Plinio il giovane, che fu governatore della Bitinia al tempo di Traiano, cioè nei primi anni del 100 d. C., riferisce che quelle città erano in gara di fabbricare: a Nicomedia si finiva un nuovo foro, un acquedotto e un canale; a Nicea un teatro e un ginnasio; delle terme a Prusia e a Claudiopoli; a Sinope un acquedotto di 15 miglia.
E non solo le città, non solo lo Stato costruivano instancabilmente, ma anche i privati. Erode Attico, per dirne uno, proconsole in Grecia e maestro di Marco Aurelio, costruì a sue spese, in Atene, un teatro sfarzoso e un immenso stadio tutto di marmo bianco, e il grandioso Odeon, di cui s'ammirano ancora le rovine; a sue spese fece erigere altri due teatri a Delfo e a Corinto, dove voleva proseguire il taglio dell'istmo, iniziato da Nerone; terminò un acquedotto per gli abitanti della Troade, e un altro ne regalò a quelli di Canusio nelle Puglie; eresse delle terme alle Termopili, senza contare altri lavori sparsi per la Tessaglia, l'Epiro, l'Eubea, la Beozia, il Peloponneso, oltre alle largizioni prodigate alle città che lo eleggevano patrono.
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